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le strade delle nostre storie

Pietro Parisi – Il partigiano Brindisi

  • Immagine del redattore: Memorie Cistranesi
    Memorie Cistranesi
  • 21 apr 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 26 nov 2018


Parisi alla maratona di Torino, 1997

Sarà capitato sicuramente ad ogni cistranese di imbattersi in un simpatico signore di 94 anni, impegnato in una delle sue quotidiane corse nelle campagne e nelle vie del paese.

Forse non tutti sanno che Pietro Parisi, maratoneta e con vivace personalità, è stato un partigiano, e si è battuto nella Resistenza per la libertà comune. Non potevamo non attingere alla sua preziosa testimonianza.




Come è iniziata la sua esperienza in guerra?

Io sono nato nel 1924 a Cisternino. Qui ho vissuto fino all’età di 19 anni. Fu il 26 agosto che partii per il distretto militare di Taranto. Poco dopo fui trasferito a Torino, presso la Caserma Guisa, e poi in Val di Susa. Quegli anni segnati dalla guerra furono anni frenetici e, quando l’8 settembre fu firmato l’armistizio, io speravo di poter salire sul primo treno da Torino per tornare a casa. Quel giorno, dei soldati tedeschi fermarono me e il mio amico Agostino Prete e ci costrinsero ad uscire dalla stazione per poi essere caricati su una camionetta. In quel momento decisi di scappare, ma Agostino non mi volle seguire, perciò mi ritrovai solo a vagare per Torino. Iniziai a bussare alla prima porta che trovai per la via imboccata e dopo un po’ mi aprì una signora che, capendo la mia situazione, mi fece indossare degli abiti da borghese di suo figlio, bruciando i miei. Non mi demoralizzai e cercai in seguito di prendere un altro treno. Seguendo il consiglio di un capostazione, non arrivai fino ad Alessandria ma, dopo aver lasciato il treno, proseguii a piedi per le campagne del Monferrato. Essendo periodo di vendemmia, aiutai addirittura dei contadini nei campi anche se il pensiero era sempre rivolto a casa.


Pietro Parisi a 25 anni

Cosa andò storto?

Purtroppo poco dopo Mussolini fu liberato e diede vita alla Repubblica di Salò. Essendo di nuovo in guerra, i fascisti ripresero ad effettuare controlli per le campagne, in cerca di disertori. Ma fu proprio allora che un contadino mi parlò di un’organizzazione a Casale Monferrato che raccoglieva i fuggitivi per organizzare la lotta partigiana. Ovviamente quella divenne la mia nuova direzione, dopodiché mi trasferii in un distaccamento in Val d’Aosta. Persino due ufficiali si offrirono di aiutarci in questa lotta contro le camicie nere. Scoprimmo troppo tardi la loro vera identità, cioè quella fascista. Ce ne accorgemmo perché in quei giorni ci vollero far consumare tutte le munizioni, presentandosi in seguito con carri blindati e qualsiasi genere di armi. Quando tornarono tutti scapparono, io solo decisi di nascondere le poche armi a noi rimaste in un posto insolito: una nicchia che fungeva da gabinetto per i contadini. Non potendo restare in quei luoghi ripresi il cammino con un ragazzo valdostano e con lui dopo aver raggiunto Gressoney ritornammo in Val d’Ayas. Non conoscendo quei luoghi confidavo in lui, ma quando mi lasciò per ritornare a casa iniziai a ripensare anch’io alla mia terra con malinconia.


Fu difficile per lei affrontare un altro spostamento in territori sconosciuti?

Direi che in ogni situazione sono sempre stato abbastanza fortunato e infatti anche questa volta l’uomo che mi diede ospitalità a Issogne mi indicò una frazione, quella di Fioran, dove avrei potuto chiedere lavoro. In una trattoria incontrai due uomini che, come me, si stavano organizzando nella lotta. Essi mi avevano proposto di seguirli in un gruppo di Resistenza che si stava formando.

Fu facile entrare in questo gruppo?

All’inizio dovetti guadagnarmi la fiducia del gruppo, raccontando della mia fuga davanti ai fascisti e del mio stratagemma per poter nascondere le armi. Loro erano però ancora scettici, perciò decisi di svelargli direttamente il posto. Lì qualcuno mi riconobbe, facendo svanire qualunque sospetto. Fu da allora che diventai il partigiano “Brindisi”. Era il gennaio del 1944 e fu in quel tempo che formammo la 176° Brigata Garibaldi.


Altri uomini della 176esima Brigata Garibaldi

In guerra, usavate dei nomi o delle frasi in codice?

“Il sole tramonta” era una delle frasi, e la usavamo per avvisarci del lancio di paracadutisti alleati, di armi e anche di sigarette.


Immagino che una difficoltà incontrata sia stata anche quella della

lingua o sbaglio?

No, perché, grazie ad una ragazzina di 15 di nome Savina, riuscii ad imparare il dialetto di quelle valli, il patois. Con lei ho anche avuto modo di mantenere i contatti, sempre in sola amicizia. Devo dire che mi fu di aiuto anche la mia “fama”: ero conosciuto e voluto bene da tutti come “Brindisi”.


Ma lei, in quel periodo, non ha mai avuto voglia di un po’ di svago o spensieratezza?

Avrei voluto, ma non c’era tempo. E soprattutto non c’era tempo neanche per potersi fermare davanti alla morte. Io continuavo a combattere a fianco dei valdostani e anche se passavano i giorni la guerra non terminava e le masse dei morti continuavano a crescere. Morire infatti era il destino di molti di noi. Ma il 25 aprile del ’45, all’arrivo della primavera, coincise con la fine della guerra.

Si sentiva l’esigenza di pace e libertà e noi ricevemmo l’ordine di poterla soddisfare. Solo così, forse, avremmo potuto ottenerla: solo combattendo.

Una vita piena e vissuta, quella di Parisi. Tutt’ora questa vita è riflessa nei suoi occhi, i quali non smettono di rivivere le scene che hanno segnato profondamente la sua giovinezza. Abbiamo deciso, quindi, di lasciare spazio alle sue parole, ritraendolo nel video qui di seguito, cosicché tutti possano ascoltare i suoi racconti come abbiamo potuto fare noi. Buon ascolto e buona visione!





 
 
 

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